Tempo di lettura: 6 minuti
Teoria U e scrittura emozionale: un prototipo
Vuoi scrivere, ma le dita fanno fatica a muoversi sulla tastiera. Un blocco, nel momento più sbagliato, in cui invece le parole dovrebbero fluire come un fiume in piena. Beh, succede a tutti. Ma forse c’è una soluzione: inserire alcuni esercizi di Teoria U nel processo di scrittura emozionale. Una roba che ho pensato negli ultimi mesi, e che ho fatto provare ai miei corsisti. Come è andato l’esperimento? Mettiti comodo: te lo racconto in questo articolo.
Le emozioni, il motore dello storytelling
Lo sappiamo: per fare del buon content marketing servono contenuti originali e di valore, quindi credibili. I copy che funzionano meglio sono quelli che nascono da vissuti autentici. Vuoi emozionare con la tua scrittura? Emozionati tu per primo. Vuoi connetterti con il tuo pubblico? Connettiti prima con te stesso. Eh. La verità è che quando siamo alle prese con la scrittura emozionale, c’è bisogno di un metodo che ci faciliti la vita. Perché non la Teoria U?
Ho inserito alcune pratiche della U in un processo di scrittura emozionale per il turismo e l’ho sperimentato in 2 occasioni: una prima volta al corso di formazione su comunicazione e turismo per Fiavet Toscana; poi, una seconda volta, in due classi diverse al corso di formazione IFTS sul turismo “Una Bellezza nascosta!”, organizzato dalla Cooperativa Scuola Lavoro nell’ambito del progetto “Giovani Sì” della Regione Toscana.
Entrambi i corsi dovevano prevedere un’esercitazione di copywriting, quindi ho chiesto ai “miei” ragazzi di mettersi nei panni di un travel blogger e di scrivere un articolo per un ipotetico blog di viaggi. Questa, la consegna: “Scegliete una destinazione e presentatela al vostro pubblico attraverso il racconto di un viaggio che avete fatto”. Non spenderò molte righe per descrivere le loro facce davanti alla mia richiesta, ma userò solo una parola: covoni. Balle di fieno desolate che rotolano al vento. Già. Non sapevano da dove iniziare, erano terrorizzati.
3 esercizi di Teoria U per connettersi con le proprie emozioni
“Tranquilli”, ho continuato: “Prima di mettervi a scrivere, sperimentiamo insieme 3 esercizi che vi servono a radunare nella vostra testa un bel po’ di cose da dire. E, allo stesso tempo, a fare spazio per lavorare in condizioni ottimali. Questi 3 esercizi fanno parte della Teoria U del MIT di Boston.”
La Teoria U è un’ottima cornice di lavoro per la leadership individuale e le sue pratiche si rivelano davvero efficaci per raggiungere almeno 3 obiettivi:
- ritrovare concentrazione e motivazione;
- riuscire a connettersi con il presente, superando pensieri limitanti;
- connettersi consapevolmente con le emozioni proprie o altrui.
La prima cosa da fare per iniziare a sbloccarsi è “accettare” di lasciare andare quello che ci blocca; che siano pensieri o preoccupazioni, poco importa: tutti questi bla-bla-bla che ci girano nella mente, bisogna mollarli. La fase iniziale del “lasciare andare” è la parte più difficile di tutto il processo, ma è quella che ci permette di scivolare verso il fondo della famosa “U”. Basta un piccolo atto di volontà, un dire a noi stessi un impercettibile: “Ok, mollo la presa”, ed ecco che ci si apre davanti la possibilità di entrare in contatto con la profondità più nascosta e viva di noi stessi, di sperimentare un senso di presenza, di forte radicamento con la realtà e una potente connessione con la fonte della nostra creatività.
Per lasciare andare le resistenze, la Teoria U suggerisce alcuni esercizi. Ne ho scelti 3 e li ho riadattati al contesto di riferimento, con lo scopo di aiutare i ragazzi a rintracciare le emozioni più vere legate al viaggio che dovevano raccontare.
Questi esercizi si chiamano:
- EMPATHY WALK
- MINDFULNESS
- JOURNALING.
Nell’ Empathy Walk ho chiesto ai corsisti di mettersi a coppie e di fare una lunga camminata, esercitando la capacità di ascolto reciproco. L’oggetto della “chiacchierata” doveva essere il racconto del proprio viaggio. Quello che doveva essere diverso rispetto a una passeggiata normale, era l’organizzazione dei tempi: in un dialogo normale le parole di uno vengono intervallate dal feedback dell’altro; nell’Empathy Walk invece questo non deve accadere. Prima parla uno per un tot di minuti; poi, solo quando lui ha finito, inizia l’altro. Difficile, parlare a ruota senza essere interrotti? Ancora più difficile, forse, ascoltare in silenzio senza intervenire. Fatto è che, grazie a questo strumento, si impara ad ascoltarsi. Ad ascoltarsi davvero. E a mettere in ordine le idee.
La Mindfulness, più o meno la conosciamo. Una pratica di silenzio interiore, in cui ci si ferma per qualche minuto, si chiudono gli occhi e si cerca di fare spazio tra i pensieri per sentire il nostro corpo. Quante volte durante la giornata facciamo caso alle nostre mani, ad esempio? Quante volte ci fermiamo ad ascoltare il nostro respiro? Mai. Siamo sempre di corsa e la nostra mente è sempre in movimento. Sedersi un attimo e praticare la Mindfulness può aiutarci a ritrovare una certa calma. Una calma e una concentrazione… utilissime per scrivere.
Quanto al Journaling, si tratta di un esercizio di scrittura impulsiva. Serve a connettersi con i pensieri più profondi e anche con le emozioni inconsce. Nella pratica standard ci sono alcune domande chiave che vanno a stuzzicare proprio i punti clou per sbloccare il flusso. La persona che guida l’esercitazione pone queste domande ai partecipanti e loro devono rispondere senza pensarci, scrivendo di getto. In questo contesto ho riadattato queste domande, circoscrivendole all’oggetto da narrare, ovvero il viaggio.
L’output dei 3 esercizi? Gli appunti presi dai partecipanti sia durante l’Empathy Walk, sia durante il Journaling, che si trasformavano quindi in fonti preziose da cui attingere, una base di partenza per redigere il pezzo.
Case history: l’articolo della corsista Irene Giuntini
Irene, corsista. La osservavo dalla finestra, mentre eseguiva l’Empathy Walk con un compagno, nel giardino del liceo Enrico Fermi di Empoli. Camminava, taceva, annuiva. Poi parlava, si fermava, prendeva appunti su un quaderno. “Questi appunti ti saranno utili per scrivere l’articolo”, le dissi. Durante la Mindfulness, vidi che faceva un po’ fatica a concentrarsi, ma durante il Journaling, osservai che la sua penna si muoveva a razzo sul foglio. Alla fine dell’esercizio, annunciai che era arrivato il momento di passare alla stesura. Feci un giro tra i banchi e notai i quaderni di tutti: gli appunti che avevano preso durante l’Empathy Walk e durante il Journaling sembravano sufficientemente ricchi.
Era fatta. Davanti ai ragazzi, adesso, non c’era più un foglio bianco. Dopo gli esercizi di Teoria U, non leggevo più preoccupazione nei loro volti. Anzi, sembrava che avessero le idee più chiare riguardo a cosa scrivere e che fossero pronti a mettersi sotto. Anche nell’aria si percepiva un senso di maggior leggerezza, come se si fosse sbloccato qualcosa. Non rimaneva che iniziare a scrivere.
La testimonianza
Per concludere questo lungo articolo, mi affido alle parole di Irene. Riporto un estratto del suo elaborato (il racconto di un viaggio a Los Angeles) e la sua testimonianza diretta. Le sue parole mi fanno fare un sorrisone: pare proprio che l’esperimento sia riuscito.
“Dopo aver fatto le prime pratiche della Teoria U, soprattutto il Journaling, ho iniziato a scrivere il mio elaborato, che, contro ogni mia aspettativa, è stato molto divertente e semplice da realizzare. Non sono nuova alla scrittura, ma da diverso tempo ero bloccata e annoiata, arrivando al punto di voler smettere. Grazie a questo processo sono riuscita a sbloccarmi e a ritrovare la voglia di scrivere.”
Dall’articolo di Irene: “Los Angeles tra finzione e realtà”
Tutto comincia in un fresco novembre del 2012, quando io e mio padre ci svegliamo ad un orario improbabile per dirigerci all’aeroporto di Firenze. Lì ci aspetta il nostro primo aereo, che, dopo una simpaticissima partenza lato monte (solo chi ha preso un aereo da Firenze può capire la gioia di volare quando tira un forte tramontano), ci porta a Parigi. Il vero viaggio inizia qui: dopo essere salita sul secondo enorme aereo, il sogno prende forma. Per una serie di fortunati eventi, riusciamo ad ottenere due biglietti di business class, cosa che ci permette di viaggiare comodamente per le 12 ore successive, serviti e riveriti. Tocchiamo terra e la realizzazione arriva come uno schiaffo; ce l’ho fatta, ho realizzato il mio sogno. Devo ammetterlo, mi scappa una lacrimuccia. Poi, il primissimo impatto. Questo però, sarò sincera, non è affatto dei migliori. Già durante la prima sera, inizio a capire che non è tutto rose e fiori; il famoso LA traffic non è piacevole da sperimentare, nemmeno se ti eri preparato. Le persone che incontro nel centro commerciale non sono felici come quelle che vedevo in TV, anzi: sembrano tutti e stanchi e infastiditi… insomma, non proprio ciò che la me quattordicenne (nel corpo di una ventiduenne) si aspettava. Dentro di me, il disappunto. Nelle giornate successive, fortunatamente, riacquisto un po’ di fiducia. Il calore delle fantastiche ed enormi spiagge di Santa Monica e Malibù mi conquista completamente: i loro colori gioiosi e le persone che incontro mi trasmettono un senso di serenità. La gente sembra più cordiale e anche le famose Hollywood Boulevard e Rodeo Drive mi riportano alla mente quell’idea di meraviglia patinata che avevo in mente prima della partenza. Più o meno al quarto giorno della vacanza, arriva il momento che attendevo con ansia dall’inizio: il tour dei Paramount Studios.” (…)
Messaggio per te
A te, che sei arrivato/a in fondo a questo articolo: grazie. Se vuoi provare questa esperienza in prima persona con un percorso di coaching per la scrittura fatto su misura delle tue esigenze, scrivimi.
Alla prossima!